
La pagina tratta dal sito del Museo dell’Arte Vetraria Altarese spiega diffusamente questa nostra storia e da questo link qui di seguito riprenderò alcune parti importanti per me.
Secondo una radicata e costante tradizione orale, l’arte del vetro fu anticamente introdotta ad Altare da una comunità benedettina che, rilevate qui le condizioni naturali idonee, si racconta avrebbe richiamato dal nord della Francia (Normandia o Bretagna), alcuni esperti artigiani. (…)
…dall’Alto Medioevo sia le fonti scritte che i dati archeologici testimoniano in Occidente di stretti rapporti intercorsi tra i centri di produzione vetraria e i monasteri, dove si inizia a far uso di vetro per le finestre abbaziali. Esigendo poi la chiesa una particolare oggettistica di culto (calici, urne, reliquiari) anticamente le arti plastiche furono esercitate quasi esclusivamente nei cenobi e, comunque, soprattutto a beneficio del clero, cosicché – sottolineano molti autori – le officine vetrarie vennero spesso a gravitare attorno ad insediamenti monastici. (…)
Un’immigrazione di vetrai francesi ad Altare potrebbe poi bene inquadrarsi in quel contesto di grande mobilità sociale – conseguente all’incremento e alla pressione demografica – manifestatasi nel’Occidente europeo approssimativamente tra la metà dell’XI secolo e quella del XIII (mobilità peraltro già storicamente peculiare a questa categoria artigiana). (…)
L’ubicazione geografica del borgo in una zona rurale ad alta densità boschiva, la presenza di formazioni di quarzite e la vicinanza di sbocchi portuali erano tutte condizioni favorevoli all’esercizio di un’attività vetraria che, dalla seconda metà del ‘200, conoscerà progressivi sviluppi attirando un considerevole afflusso d’immigrazione artigiana dal Genovesato, dalla Toscana e, secondo tradizione, anche da Venezia. I Ferro, i Bertoluzzi e i Marini -secondo A. Gasparetto- furono tra le prime famiglie veneziane immigrate ad Altare. Ciò viene a comportare, per i maestri altaresi, l’acquisizione di nuove tecnologie di lavoro e un eclettismo espositivo che, nei secoli successivi, permetterà loro d’esportare lo stile italiano in tutto l’Occidente europeo. Tale dilatazione di rapporti lavorativi, con la sua molteplicità di esperienze umane, a sua volta non potrà che determinare per la comunità artigiana uno straordinario arricchimento del proprio bagaglio culturale e tecnologico.
Per quanto riguarda nello specifico l’incisione a punta di diamante, leggiamo quanto scrive il vocabolario: essa “venne introdotta a Murano per la prima volta da Vincenzo D’Angelo su specchi nel 1534 o 1535 e lo stesso Vincenzo ottenne nel 1549 un “privilegio” per l’incisione a punta di diamante su specchi e soffiati. Con la vetraria a la “façon de Venise” venne poi diffusa in tutta Europa, specialmente in Tirolo e nei Paesi Bassi. L’incisione con la ruotina di pietra abrasiva o metallo deriva dalla incisione delle pietre dure e venne applicata con splendidi risultati in Germania e Boemia nel sec. XVII. Alla fine di quel secolo, venne introdotta anche a Venezia, con l’arrivo di incisori tedeschi.”
Ad Altare, oggi, gli elevati costi d’esercizio di una fornace hanno per il momento impedito una ripresa continuativa della lavorazione artigiana del vetro in pasta. Moderne tecnologie hanno tuttavia consentito che le antiche tradizioni dell’ “arte vitrea” permanessero vive nelle “botteghe” di Costantino Bormioli e Raffaello Bormioli, originali creatori e sperimentatori di sempre nuove e raffinate forme. Va poi segnalata la bottega di vetri “Vanessa Cavallaro” dove l’arte della decorazione intagliata ha trovato alta espressione.