Negli anni ’70, in casa arrivava una rivista, un settimanale, a cui mia nonna era abbonata. Nelle ultime pagine era stampata sempre una immagine, tipo questa:

Immagine tratta da Pinterest
Poteva essere una bambolina o un bambolotto, non aveva importanza: per me il fascino era il medesimo, aumentato poi dall’attesa e quindi dalla pazienza che dovevo applicare, perché prima era la legittima proprietaria a dover finire la lettura, e questo durava qualche giorno…
Una volta nelle mie mani la tanto attesa pagina, recuperate le forbicine dalla punta arrotondata, iniziavo a ritagliare con precisione millimetrica la linea esterna, quella che delimitava il corpo della bambolina.
Poi passavo ai vestiti, alle scarpine se c’erano, agli accessori: tutti da ritagliare con cura e guai a sbagliare mira, tagliando la linguetta pieghevole che permetteva di agganciare il vestito alla bambolina! Il gioco era rovinato e neppure l’ “aggancio” con una strisciolina di scotch risolveva la mia disperazione, dopo aver atteso così tanto.
Avevo sei, sette, otto anni: era un’ora preziosa in un mondo piccolo, in cui non c’erano molti giochi, si stava al seguito degli adulti, che però non fornivano troppa attenzione ai bambini, dovendo portare avanti le loro faccende.
Perciò applicavo la pazienza che avevo ai lavori che vedevo fare. Si sbucciavano verdure per il minestrone, si preparavano gnocchi o ravioli, si coltivava la terra dell’orto sotto casa, si curavano le galline del pollaio (anche se la casa di famiglia è nel centro del paese, il giardino attorno permette utilizzi che normalmente sono priorità del mondo contadino).
E poi, nelle lunghe ore del pomeriggio, dopo quei brevi compiti di scuola, c’era il cucito, i ferri da maglia e anche l’uncinetto, che fin da subito ha dato grandi soddisfazioni al mio spirito pratico, che male si adattava agli altri lavori di ricamo, di cui non vedevo per nulla l’utilità.
Ebbene sì, io sono una di quelle che, volente o nolente, si è fatta il mitico “corredo”! Il quale ora giace, mescolato alla lavanda, nascosto e inutilizzato in un baule. Chi prova a mettere in lavatrice un lenzuolo di canapa naturale, con una svena di 5 cm ricamata a punto à-jour, può capirmi…

Tutto questo racconto per dire cosa?
Che mi stavo chiedendo perchè, cinquant’anni dopo, ho fatto le scelte che ho fatto…
Perchè incidere il vetro? Perchè non un altro lavoro, un’altra passione, ma questa?
Le scelte di vita non sono mai “o bianco o nero”, questo no. Però essere allenati alla precisione assoluta, saper gestire le mani e i loro movimenti, avere occhi attenti ai particolari più piccoli e un gusto allenato al disegno, allo schema, ad una grafica morbida e fluente, tutto questo può essere quell’ingrediente segreto che fa la differenza.
Non sto parlando in assoluto, sto solo raccontando gli esordi di una realtà che si è dipanata nel corso di tanti anni, a cavallo di due secoli, alla luce di una storia millenaria (quella della lavorazione del vetro, che è retaggio ed eredità anche della famiglia di mia madre), mescolata a una storia piccina, fatta di tanti gesti giornalieri di pazienza e di rispetto delle tradizioni, tipo fare il burro con la panna e poi, dalla rimanenza fare la ricotta e dopo anche i ravioli, aggiungendo gli spinaci dell’orto…
La grande Storia si mescola sempre alla microstoria e crea un tutt’uno, che si chiama vita…
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